Un prestigioso riconoscimento riservato a personalità rilevanti del panorama vitivinicolo italiano che si sono distinte per studi, ricerche e discussioni sui maggiori problemi concernenti la vite e il vino, che hanno saputo promuovere il progresso della viticoltura e lo sviluppo dell’enologia e che, quindi, attesta il contributo importante che Albino Armani ha saputo dare al comparto nel corso della sua lunga attività.
A testimoniarlo diversi progetti, studi e sperimentazioni portati avanti individualmente o in collaborazione con noti istituti e centri di ricerca, come il lavoro di recupero delle varietà autoctone antiche della Valdadige svolto con la Fondazione Mach di San Michele all’Adige che ha restituito una collezione di 13 vitigni reliquia appartenuti al patrimonio ampelografico della Vallagarina e che permette oggi di godere di vini straordinari come il Casetta (o Foja Tonda).
O ancora gli studi con il geologo Guido Gonzato volti ad individuare le aree più vocate allo stile aziendale che hanno portato all’odierna mappatura dei suoli che descrive quella di Marano come l’unica sottozona della Denominazione ad avere terreni a carattere vulcanico o, per chiudere, l’attrazione per le varietà indigene e ormai dimenticate dell’Alta Grave Friulana come lo Sciaglin e il Piculit Neri protagonisti dell’ultimo progetto di rafforzamento identitario della regione vinicola.
Nella mia attività vinicola, da quasi quarant’anni, rifiuto scorciatoie e sfruttamenti del territorio nella totale salvaguardia dell’ambiente che mi circonda e delle persone che la abitano. La mia azienda sostiene e dà dignità a quei prodotti che si trovano lì da secoli, al paesaggio e alla biodiversità. È questo che rende grande un vino: non il prezzo, non la fama, non i punteggi della critica, ma la sua capacità di portare il peso di un’identità e di comunicare il territorio che lo rende unico, perché nessun posto, nessuna cultura, nessuna tradizione è replicabile altrove”.