Rodolfo Salis una storia centenaria nel cuore delle Alpi

I Salis sono un’antica famiglia originaria della Val Bregaglia (Svizzera) che videro un loro ramo insediarsi in Valtellina poiché la famiglia del barone Rodolfo Andrea von Salis Zizers fu infeudata di beni in Valtellina dal vescovo di Como.

Fu Giovanni Salis a stabilirsi per primo a Tirano,  intorno al 1646 e a sposarsi con una nobile valtellinese, fu nominato nel 1679 governatore della Valtellina e nel 1694 con diploma imperiale ottenne il titolo di conte.

La produzione e il commercio del vino furono fin dagli inizi della permanenza dei Salis in Valle una conseguenza logica dei pagamenti dei fitti e livelli che venivano, data la preziosità dellla materia prima, pagati in uva o mosto alla casa Salis.

E’ ciò che risulta dall’estimo di famiglia conservato oggi presso palazzo Salis di Tirano. Un patrimonio inesplorato con cui si potrebbe aprire una pagina nuova della storia della vite e del vino in Valtellina.

Rodolfo Salis nacque a Napoli nel 1791, dove il padre Rodolfo, ultimo podestà saliceo di Tirano, prestava i propri servigi militari ai Borboni.

Rimasto vedovo della moglie, morta quarantenne a causa di un’epidemia di colera, nel 1836 Rodolfo Salis da Tirano trasferì la sua residenza a Milano,  tornando in Valtellina solamente nella stagione estiva per la villeggiatura.

A Milano Rodolfo Salis svolgeva il ruolo di delegato di Valtellina alla Congregazione nazionale e amministrava gli affari di famiglia e soprattutto il commercio del vino sul mercato di Milano.

L’attività vitivinicola era particolarmente seguita da Rodolfo Salis che aveva come uomo di fiducia nel Palazzo di Tirano Antonio Lucini, che informava il conte sull’andamento di tutte le operazioni: dalla coltivazione delle viti alle pratiche di cantina e di imbottigliamento, persino nell’etichettatura, che per quei tempi era prerogativa di pochi produttori.

Grandi quantità di vino e di mosto giungevano nelle cantine di Tirano come pagamento degli affitti dalle proprietà dei Salis nella Valle e venivano registrate regolarmente nell’estimo di famiglia.

Tra queste ricordiamo le vigne sotto il Castello di Masegra, vicino a Sondrio, nelle quali già nel 1696, come riporta un documento esistente nell’estimo, si selezionavano i vitigni di qualità, obbligando i massari a provvedere agli innesti di Chiavennasca, Bersamina, Bressana e Pagana e a piantarli in dette vigne.

Il commercio del vino era seguito e gestito da Rodolfo in modo imprenditoriale e moderno tanto che il conte aveva costituito intorno al 1835 una società con Ulderico Olgiati della Valle Poschiavo per l’acquisto del vino di intere cantine private in Valtellina da vendere all’interno della Svizzera da dove proveniva un’elevata richiesta (alcune lettere fanno pensare ad un invio di oltre 3000 ettolitri all’anno solo per il mercato svizzero).

Per il trasporto del vino all’estero e in Italia Rodolfo Salis si serviva di una vera e propria società di trasporti: la “Soresi e compari. Condotte celeri per terra via dello Stelvio e dello Spluga e per tutta Italia” di Milano.

Ed è proprio dalle lettere di un agente del conte Rodolfo a Zurigo che si capisce l’importanza e il valore che aveva il vino commerciato dalle cantine Salis, soprattutto di quel vino Sforzato o “forzato” ottenuto dall’appassimento delle uve, che era un prodotto di prestigio che veniva quindi riservato a persone importanti.

Lo Sforzato della Valtellina ai tempi di Rodolfo Salis

Il vino Sforzato valtellinese era già agli inizi del 1800 un articolo ricercato perché veniva prodotto in piccole quantità ed era praticamente acquistato subito tanto che non era possibile trovarne in commercio nel primo ano dalla vendemmia. Le richieste di questo vino commerciato dai Salis si fecero sempre più insistenti e non provenivano solo dalla vicina Svizzera, ma anche da Milano e dal Tirolo.

Il 12 febbraio 1839 l’agente in Svizzera scriveva al conte che voleva “un botticello in cui desidererei ricevere un campione [di] sforzato squisito per farlo conoscere e gustare dai nostri bevitori di palato fino”.

Lo Sforzato affinato nelle cantine Salis doveva essere sicuramente un vino di qualità perché prodotto con uve selezionate e secondo un metodo antico che sembra derivare direttamente dalla cultura ellenica. Lo stesso Lucini, uomo di cantina di Palazzo Salis, lo definiva nel 1847 “un non plus ultra” e le lettere conservate rivelano l’esistenza di una cantina denominata appunto “cantina forzato”.

Il vino veniva ottenuto come avviene attualmente con uve scelte, per la raccolta delle quali si usavano cassette di legno e non gerle o bigonce come per le altre uve. Scrive Rodolfo nel 1847 al figlio Ulisse: “farai bagnare tutta la cantina perché tutto sarà secco a causa dell’eccessivo caldo: farai bagnare tutti e tre i torchi, i tinelli, e le cassette per la cernita delle uve… farai scopare anche il solaio, sia per il deposito dei grani come per intendere delle uve”

Con questa lettera sappiamo inoltre che l’appassimento delle uve veniva ottenuto in solaio sopra delle canne che venivano fatte arrivare a Tirano direttamente dal conte e che erano distese attraverso delle impalcature (ancor oggi esistenti) denominate mantavole.

In una lettera del 17-4-1846 infatti si legge: “Dal solito carrettiere riceverete 12 fasci di cannette che farete subito riporre sul solaio dove ritrovansi anche la cosìdetta Mantaola”.

Dalla corrispondenza di Rodolfo Salis emerge un altro fatto importante per la storia dell’enologia valtellinese: la produzione di vini bianchi anche invecchiati che venivano imbottigliati e in alcuni casi distillati, sulle cui bottiglie si applicavano delle etichette: una scelta alquanto inusuale per quei tempi che denota una gestione dell’azienda vinicola intelligente e all’avanguardia.

Nel luglio 1847 scriveva: “Ai primi dell’entrante agosto farete empire il botticino che è destinato per famiglia, ma che sia di buon gusto, onde potersene servire al nostro rimpatrio. Non permetterete a nessuno che vi sia mano al botticello, mentre questo lo voglio spinar io subito costi arrivato”.

Ma questa fu una delle ultime lettere del conte Rodolfo Salis al suo prezioso collaboratore di Palazzo in Tirano, perché il 21 aprile del 1848, un mese dopo che era cessato il fuoco delle Cinque giornate, si spense a Milano.