Monaci, monasteri e il loro vino

Se oggi possiamo dilettarci in sofisticate degustazioni, libando calici di prezioso Brunello o Amarone o se quotidianamente accompagniamo un pranzo o una cena con uno dei meravigliosi vini quotidiani prodotti in Italia,  dobbiamo essere grati a chi per primo colse l’importanza del vino addirittura nella religione.

“Il sacramento dell’eucarestia – scriveva san Tommaso d’Acquino – nel XIII sec. – può essere celebrato solo con il vino della vite, perché questo è il volere di Cristo Gesù, che scelse il vino quando ordinò questo sacramento”.

Con questa missione per secoli la Chiesa cattolica ha sempre posto grande attenzione alla viticoltura proprio per poter assolvere all’ irrinunciabile sacramento dell’eucarestia. Ma il merito di aver salvato dalla barbarie la coltivazione della vite e il vino, con una grande attenzione alla qualità, oltre a Vescovi e Papi,  grandi gaudenti e intenditori (pensate a Paolo III Farnese che affidò al suo bottigliere, Sante Lancerio, il compito di fornirgli la cantina) va senza ombra di dubbio ai monaci.

In Italia del Nord la rinascita della viticoltura dopo le incursioni dei barbari fu anche merito di un un santo irlandese: San Colombano, che fondando l’abbazia di Bobbio (Pc) nel 614 portò dalla Francia alcune barbatelle di vite che diedero vita ad alcuni vitigni ancor oggi coltivati, come la Verdea e l’uva d’oro o di San Colombano. E fu grazie all’ospitalità dei monasteri colombaniani che i Bendettini, la cui regola fu dettata nel 534 da S.Benedetto da Norcia, dopo la distruzione di Montecassino, si salvarono dalla persecuzione da parte dei Longobardi ariani, trovando una via di fuga in  Francia.

La storia della grandezza della viticoltura francese è soprattutto merito dei monaci benedettini. Basti pensare all’opera della abbazia di Cluny nelle colline vicino a Macon, nel cuore della Borgogna. Anche l’abate Dom Perrignon, padre dello Champagne, fu un benedettino. Fondamentale fu anche l’opera dei Circestensi, che partendo dall’abazia di Citeaux raggiunsero, sotto la nuova regola di S. Bernardo, la Champagne. Ma torniamo all’Italia e ai tempi contemporanei. Dopo il tormentato processo dell’Unificazione d’Italia, numerosi monasteri e abbazie, che producevano vino, diventarono proprietà di privati. Ma altri resistettero e alla loro guida rimasero gli antichi monaci.

I padri benedettini dell’Abbazia di Montervergine, in Irpinia, hanno presentato una nuova linea di vini in collaborazione con uno dei più celebri enologi italiani, Riccardo Cotarella. Fiano di Avellino Docg, Greco di Tufo Docg e Aglianico Irpinia Doc sono i primi tre vini prodotti e commercializzati da un ordine religioso nel Mezzogiorno: appena diecimila bottiglie, ma significative per il carattere simbolico della svolta e dell’impegno di creare una circuito per la rilanciare la cultura monastica del cibo.

Nel 1845 i Benedettini, cacciati dal loro monastero in Svizzera, trovarono una nuova sede nel monastero di Gries, oggi in Alto Adige. Si aprì così un nuovo capitolo nella storia viticola del monastero di Muri-Gries, poco distante da Bolzano. I monaci applicarono la tradizione regola benedettina “ora et labora” anche nei vigneti conventuali. Però solo all’inizio del 20° secolo si aprì la cantina e le prime vendite di vino attraversarono il Brennero. Dal 1985 la cantina puntò molto sulla valorizzazione del  Lagrein.

Cantina Convento Muri Gries è oggi una azienda produttrice di vino rosso con l’85 % di vini rossi ed il 15% di vini bianchi. Nell’ambito dei vini rossi, il Lagrein (80 %) è nettamente predominante. Il resto si suddivide in Schiava, Santa Maddalena, Lago di Caldaro Scelto, Pinot Nero e Moscato Rosa. Per quanto riguarda i vini bianchi, meritano particolare attenzione il Pinot Bianco, il Pinot Grigio, il Müller Thurgau, il Chardonnay ed il Gewürztraminer (Traminer Aromatico) www.muri-gries.com.

Novacella, sempre in Alto Adige, è la zona vitivinicola più settentrionale d’Italia. Sui pendii più soleggiati che circondano l’Abbazia, da otto secoli vigne pregiate producono uve bianche che vengono vinificate nella cantina del convento, come  Sylvaner, il Müller Thurgau, il Gewürztraminer ed il Kerner. Di proprietà dell’Abbazia è anche un vigneto ubicato nella principale zona di produzione vinicola dell’Alto Adige: il podere Marklhof di Cornaiano, sulla “strada del vino”, nei pressi di Bolzano.

Il terreno sabbioso ed asciutto ed il clima arioso di queste colline permettono di ottenere ottimi vini rossi, tra cui un caratteristico Lago di Caldaro, una finissima Schiava ed un Pinot nero molto elegante. Un terzo vigneto di Novacella si trova a Bolzano, intorno all’antico e minuscolo convento di S. Maria. Vini di nicchia, quelli sopra citati, che comunque rientrano nei canali di vendita tradizionali; mentre più ardua la ricerca di altri prodotti dei monasteri, commercializzati soprattutto via internet.

Il portale www.botteghemestieri.it (progetto della Cooperativa Sociale Botteghe e Mestieri  di Fenza (RA) propone i vini (e altri prodotti) di alcuni monasteri sia italiani che francesi, tra cui, Casa S. Maria – Eremiti di Cerreto nel territorio di Venosa, che coltiva e produce Aglianico.

Attività minore, ma non certo meno importante quella delle “Figlie di San Giuseppe”,  che operano silenziosamente da più di novant’anni nel loro monastero a Santo Stefano Belbo, Asti. Qui le suore producono uno speciale Moscato da Messa che viene usato per officiare il servizio liturgico, sia in Vaticano che nelle chiese. Questa Comunità è stata probabilmente la prima a svolgere scientificamente questo compito trattando la lavorazione del vino a scopo liturgico.

Molte comunità di suore hanno scelto la viticoltura quale valido aiuto per il finanziamento delle opere socio-assistenziali del loro Ordine. Una di queste è quella della Compagnia delle Figlie del Sacro Cuore Evaristiane, fondata in Sardegna a Villa Muscas da Padre Evaristo Madeddu nel 1939. I vini attualmente prodotti nascono dalle coltivazioni biologiche della comunità. L’azienda agricola conta diverse etichette, tutte di grande valenza.